martedì 29 aprile 2014

Ebola, paura in Sicilia. I consigli di Medici senza frontiere

Ebola, paura in Sicilia. I consigli di Medici senza frontiere


 18 apr 2014   Scritto da Redazione  0 Comment


“EBOLA NON SI E’ MAI DIFFUSO IN UN PAESE SVILUPPATO PERCHE’ IN BUONI OSPEDALI L’INFEZIONE SAREBBE DEBELLATA”, DICE L’EPIDEMIOLOGA KAMILINY  KALAHNE. IN SICILIA SAREMMO PRONTI AD AFFRONTARE IL CASO?
di Salvatore Petrotto
15 APRILE, RIPUBBLICATO OGGI- Sulla rete si discute molto del virus Ebola e dei pericoli che incombono sull’Italia, in particolare nei porti siciliani, dove l’arrivo di immigrati è praticamente continuo. Insomma, comincia a serpeggiare la paura.
L’allarme lanciato dal Ministero della Salute, come raccontato da l’Espresso, desta preoccupazione.
A migliaia “i migranti arrivati in questi giorni - racconta al settimanale, Pietro Bartolo, coordinatore sanitario di Lampedusa (che per ora non è interessata da sbarchi spostati su Augusta e altri porti siciliani)  – provengono in gran parte dalla Libia e questo sembra non escludere la presenza di portatori del virus Ebola. Ma in ogni caso è meglio stare con gli occhi aperti perché la situazione è drammatica e non è possibile procedere all’identificazione dei migranti che arrivano”.
Interessante quanto si legge sul sito Magazine donna: 
In un comunicato stampa Medici Senza Frontiere, spiega che, nonostante oggi siano numerosi gli spostamenti internazionali, “Ebola non si è mai diffusa in un Paese sviluppato”.
Rischi per la presenza di immigrati o per chi torna da un viaggio dai Paesi dell’Africa dove tale malattia è presente?
“Le persone – spiega la dottoressa Kamiliny Kalahne, epidemilologa - trasmettono l’infezione quando sono molto malate, hanno la febbre alta e tanti altri sintomi e in queste condizioni non sono in grado di viaggiare. E anche qualora sviluppassero la malattia, una volta arrivati in un Paese sviluppato sarebbero assistiti in ospedali di buon livello con adeguati sistemi di controllo delle infezioni ed è molto improbabile che contagerebbero altre persone.”
Purtroppo in Sicilia, in molti casi, non possiamo parlare di “ospedali di buon livello”. La responsabilità non è dei medici, ma della politica che, su input dell’Unione europea, ha ridotto i fondi per le strutture sanitarie pubbliche.
Contrariamente a quello che affermano dal Ministero della Sanità e dall’assessorato regionale alla salute, negli ospedali pubblici siciliani mancano i posti letto.
Detto con parole molto crude, la Sicilia non sarebbe in grado di affrontare anche una minima emergenza eventualmente provocata dalla presenza di un piccolo focolaio di questo virus. Questo non perché in medici pubblici non sono bravi, ma perché, ormai, le risorse economiche e umane sono ridotte all’osso.
In queste ore ci si interroga anche su come si trasmette il virus Ebola.
La dottoressa Kalahne spiega che Ebola non si trasmette come una normale influenza: “Non puoi ammalarti sedendo accanto a una persona malata sull’autobus. Le persone si ammalano perché hanno accudito un familiare o un paziente malato che aveva diarrea, vomito ed emorragie. E l’epidemia può diffondersi negli ospedali quando manca un adeguato controllo delle infezioni: negli ospedali di alcuni Paesi mancano perfino le risorse di base, ma bastano acqua corrente, sapone e guanti per ridurre il livello di trasmissione del virus”.
La trasmissione avviene quindi mediante il contatto con i fluidi corporei: muco, sangue, vomito, attraverso le lacrime o la saliva e forse attraverso i rapporti sessuali con persone ammalate.
I sintomi sono nausea, mal di testa, vomito e febbre emorragica. Le emorragie devono essere il campanello d’allarme per un controllo approfondito.
Il periodo di incubazione del virus va dai 2 ai 21 giorni, periodo in cui gli infetti sono asintomatici, la malattia può durare oltre 60 giorni in maniera latente, anche quando il paziente sembra essere guarito.
Da sottolineare che anche per il  presidente dei Microbiologi clinici italiani, Pierangelo Clerici,come riportiamo in questo articolo, è necessaria una particolare attenzione in Italia, negli scali e nei centri di prima accoglienza. 
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