mercoledì 24 luglio 2013

Pedofilia -Tu cosa ne pensi lascia un commento-

Pena di morte per pedofili e stupratori, quando lo Stato uccide in nome della vendetta




In Cina un uomo, un ex funzionario governativo, è stato da poco condannato a morte per fucilazione per aver violentato undici minorenni. La notizia non è apparsa in prima pagina sui media nazionali o internazionali, ma è stata battuta dalle agenzie con un trafiletto e le specifiche del caso. Li Xiongong, ex vice segretario generale del comitato cittadino del partito comunista di Yongcheng, nella provincia centrale dell’Henan, era stato arrestato nel maggio 2011 per aver violentato 11 ragazzine, e in seguito condannato a morte. Inutile l’appello: la condanna a morte è stata approvata dalla Corte Suprema del Popolo, con l’intento di mostrare tolleranza zero contro crimini terribili come sono quelli commessi contro i bambini. La pena di morte funziona o è un senso di vendetta travestito da giustizia?
Trascinati dall’emotività e dall’orrore, in tanti sono tentati di chiedere la pena di morte per i pedofili, per quei criminali seriali che si accaniscono contro i più deboli come le donne e i bambini.Eppure la pena di morte è indegna di uno stato civile, in ogni caso, anche in quelli più orrendi: lo Stato uccide un suo cittadino e lo priva della cosa più sacra, la vita.
Sul web si trovano siti o pagine Facebook in cui si chiede l’introduzione della pena di morte per i pedofili, ma in Italia l‘esecuzione capitale è stata abolita definitivamente nel 1948 e cancellata anche per i reati militari prima con legge ordinaria nel 1994 e poi con quella costituzionale nel 2007.
L’ultima esecuzione nel nostro paese risale al 1947 quando i tre responsabili della strage di contadini a Villarbasse, Torino, vennero fucilati. Il nostro ordinamento non prevede la pena capitale: le pene non sono mai punitive ma mirano alla redenzione del criminale e al suo possibile reinserimento nella società.



L’abolizione della pena di morte è stata una delle conquiste più importanti della società moderna, iniziata con la discussione degli Illuministi e terminata con la Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo del 1948, base di ogni paese democratico e civile. All’articolo 3 il documento dichiara che “ogni individuo ha diritto alla vita, alla libertà e alla sicurezza della propria persona“. La vita è il diritto più sacro e inalienabile della persona: senza di essa tutto il resto cade. Lo scriveva già nel 1764 Cesare Beccaria, autore del saggio fondante della giustizia moderna, Dei delitti e delle pene: “Qual può essere il diritto che si attribuiscono gli uomini di trucidare i loro simili? Non certamente quello da cui risulta la sovranità e le leggi. Esse non sono che una somma di minime porzioni della privata libertà di ciascuno; esse rappresentano la volontà generale, che è l’aggregato delle particolari“.
Il nocciolo della questione sulla pena di morte è proprio questo: può uno Stato uccidere un cittadino? Una nazione democratica può togliere il diritto fondamentale della vita? La giustizia moderna può rispondere a un crimine, anche al più efferato, secondo la legge del taglione? C’è una sola risposta, senza se e senza ma: no.
Non può perché lo Stato è la somma dei cittadini, entità superiore che governa il bene comune e che a esso mira: non è una porzione privata di bene, ma è il bene di tutti i suoi componenti. Un criminale è parte dello Stato, è un cittadino e un uomo che, come tale, gode di tutti i diritti inalienabili. Lo Stato è il garante di questo e non risponde alla logica punitiva della giustizia, ma agisce secondo il principio che la vita è sacra per tutti, anche per chi ha commesso crimini indicibili. Se dimentinchiamo questo, sconfessiamo la base del vivere democratico: nessun crimine, nemmeno il più efferato può portare uno Stato a uccidere un suo cittadino.
La pena di morte non è solo incivile e barbarica, è inutile perché non è un deterrente. Nelle nazioni dove è ancora in vigore, i crimini non sono diminuiti. Pensiamo agli USA, dove in alcuni stati è ancora in vigore: gli omicidi, gli stupri e le violenze ci sono ancora, ma si continua a uccidere nel nome dello Stato e di una supposta giustizia superiore.
In più è irreversibile: una volta tolta la vita non si può tornare indietro. Gli errori della giustizia sono davanti agli occhi di tutti, con casi di persone accusate di omicidio o altri crimini che hanno passato anni in prigione prima di essere riconosciuti innocenti. La giustizia, come tutti i fattori umani, non è perfetta, ma può rimediare: se si ammazza un innocente non c’è più nulla da fare.
I pedofili non spariscono perché hanno paura della pena di morte; i violentatori non si frenano perché sanno di poter finire i loro giorni in una prigione di stato; i serial killer non temono di essere uccisi. Le cause del male sono troppo profonde e oscure perché si possa pensare alla pena di morte come soluzione. Uccidere in nome dello Stato non è giustizia, è semplicemente vendetta.
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